Annata da dimenticare questa, ma quante volte ho cominciato così questo report regionale nel
corso degli ultimi anni?
Ahimè tante volte.
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Qualche dato: nel 2.000 le superfici olivate erano 46.000 ettari, oggi sono 34.000.
Le quantità di olio prodotte erano 24.083 tonnellate, oggi meno di 7.000.
Le aziende olivicole 65.000, oggi 34.000.
Cosa succede? I cambiamenti climatici stanno incidendo molto sulla produttività.
L’olivo si sta rivelando una pianta molto sensibile alle problematiche ambientali alla stessa stregua di mais, riso e caffè. L’assenza di freddo, neve, di piogge invernali e primaverili, i caldi torridi, i venti estremi sia caldi che freddi, l’aumentata pressione dei parassiti, mosca e lebbra, stanno trasformando l’olivicoltura da attività principale dell’azienda agricola ad attività marginale.
A questo si aggiunga che la redditività della coltura, che non è stata mai remunerante è sempre più bassa, nonostante la diminuite quantità di prodotto. E quindi il progressivo abbandono.
L’attuale situazione invece richiederebbe investimenti importanti sia in campo che in frantoio.
L’irrigazione è diventata una precondizione fondamentale così come l’introduzione del freddo in frantoio.
Ma affinchè questo accada è necessario, prima che sia troppo tardi, una puntuale e rapida politica di settore.
Va detto però che nonostante tutto, gli extravergini della Comunità dei monovarietali si sono dimostrati alla degustazione e alle analisi chimiche molto buoni. E a rafforzare quanto sopra, tali oli provenivano da aziende irrigue o pedemontane e soprattutto ottenute da olive raccolte molto precocemente e molite in frantoi moderni dotati anche di sistemi refrigeranti.
Oggi più che mai per fare l’olivicoltore è necessaria una grande preparazione e una maggiore presenza in campo.
Di Bruno Scaglione
Coordinatore Guida agli extravergini Slow Food Abruzzo e Molise