I grassi sono degli ingredienti indispensabili in cucina, e il loro uso a tale scopo, risale alla notte dei tempi. Oltre ad apportare energia, circa il 25 - 28% delle calorie totali assunte giornalmente, diversi sono le funzioni che svolgono.
I cibi cotti con i grassi sono più saporiti e gradevoli, i grassi sono esaltatori di sapidità, catturano gli aromi del cibo oltre a quelli che loro stessi concorrono a produrre durante la cottura.
Favoriscono una migliore distribuzione del calore nei cibi, impedendo o rallentando che si attacchino sul fondo del recipiente, migliorano la texture, morbidezza, croccantezza, pastosità, succulenza, la piacevolezza, la lucentezza, rendono i prodotti da forno croccanti e fragranti.
Molte preparazioni non sarebbero possibili senza il loro intervento, pensate ai fritti; l’acqua bolle a 100° e non è in grado di formare croste, né di dorare l’alimento, né di concorrere alla formazione del caratteristico corredo aromatico.
Ma anche a crudo i grassi svolgono importanti funzioni. Quella di esaltare la sapidità dei cibi ma anche di concorrere alla formazione di nuovi aromi che nascono dalla intima fusione tra il cibo e l’olio, soprattutto se quest’ultimo è dotato di un alto profilo sensoriale.
Provate dapprima una fetta di pane e poi la stessa fetta unta, le note aromatiche e tattili cambieranno completamente. Oppure salami identici nell’impasto ma con % diverse di grasso. Quello con più grasso si mostrerà più morbido e più profumato per la maggiore quantità di aromi che si sono formati in seguito a lipolisi durante la stagionatura.
Come si comporta l'olio in cucina
La domanda che ci dobbiamo porre è: gli oli si comportano tutti allo stesso modo?
Sicuramente no, ma mentre per la loro ottimale scelta in cucina ci possiamo servire di informazioni scientifiche e quindi oggettive, per quelli che utilizziamo a crudo, per migliorare e/o esaltare la gradevolezza della preparazione, rimaniamo molto nell’ambito della soggettività.
La cottura prolungata ad alte temperature superiori a 180°, la frittura in particolar modo, al superamento del punto di fumo, altera la struttura dei grassi.
Gli acidi grassi a catena molto lunga con più gradi di insaturazione, si rompono in due o più frammenti e si producono nuove sostanze tossiche per l’organismo umano i cosiddetti “costituenti polari” (TPC), fra cui l’acroleina.
Fisicamente, quando stanno avvenendo queste alterazioni, si notano la presenza di fumi biancastri che si spandono, il colore dell’olio che diventa più scuro, più schiumoso e viscoso.
Quindi i fattori che influiscono sulla formazione di tali sostanze tossiche sono riconducibili in sintesi a:
alta temperatura e lunghi tempi di riscaldamento; olio con elevato contenuto di acidi grassi polinsaturi, superamento del punto di fumo.
Da questo la scienza, con ripetute prove sperimentali, e la dietetica ha tratto le seguenti indicazioni: l’olio migliore in cottura è l’extravergine d’oliva, per l’elevata presenza di acido oleico (acido monoinsaturo) 75% circa, bassa presenza di acidi polinsaturi 4- 15%, elevate quantità di biofenoli e tocoferoli che proteggono l’olio dall’autossidazione durante la cottura, per l’alto punto di fumo 180°C circa, ideale per friggere.
Non è sufficiente pertanto, per valutare la resistenza alla cottura di un olio il solo punto di fumo.
Gli oli di semi, causa la elevata presenza di acidi polinsaturi e il basso contenuto di acidi monoinsaturi e acidi saturi, assenza di antiossidanti naturali, sono poco idonei alla cottura ad alte temperature come la frittura, per la elevata produzione di TPC, pur presentando in alcuni casi un buon punto di fumo.